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Le ali della memoria

Con questo racconto vogliamo farvi conoscere Emanuele Mandruzzato, altro Giovane e talentuoso scrittore della scuderia Underground. Come sempre in fondo troverete un biografia e il link per l'acquisto dei suoi lavori.



I ricordi anteriori al giorno X sono intatti, il problema si presenta quando tento di rievocare i fatti che separano il mio oggi da quella maledetta X.

Amnesia retrograda, così si chiama la malattia, o perlomeno così dice Wikipedia. Ogni giorno ricomincio da capo, non riesco mai ad andare avanti per più di ventiquattr’ore, ogni mio mattino è il mattino seguente a quella notte. Ho visto un film dove il protagonista ha la mia stessa patologia, lui si appunta tutto sul corpo tatuandoselo, io uso una penna e un foglio. In realtà non scrivo nulla che la gente potrebbe ritenere degno di nota. Di grande importanza per le persone è: comprare il pane, andare dal dentista, consegnare il compito, tutte cose che per me, da molto tempo, hanno perso ogni qualsivoglia tipo di urgenza. Mi limito a scrivere poesie, del resto quelle sono l’unica cosa che mi permette di cercare, ogni mattina, di ricreare un’identità diversa da quella ancorata indissolubilmente al giorno X. Sono un poeta, tutto qui.

Questa mattina ho aperto gli occhi all’alba, anzi prima, al crepuscolo, mi sono ritrovato in un monolocale piuttosto fatiscente, non ho idea di quanto io abbia vissuto in quel posto, ma credo poco dato che il mio zaino era ancora ben chiuso. Sono uscito in strada e ho sentito immediatamente il bisogno di andarmene da quella cittadina, che solo dopo avrei scoperto trattarsi di Bergamo, non so spiegarmelo, ma del resto sono un uomo che dimentica ogni giorno della sua vita da ormai dieci anni, cosa dovrei fare se non fidarmi dell’istinto? Non avevo seguito il mio scrupoloso rituale di leggere 10 poesie prima di cominciare la giornata, ne avevo presa solo una dal mio borsone da palestra.

Ho trovato le radici

per ricordare

nei tuoi occhi,

ho trovato le ali

nei tuoi occhi

per lasciarti andare.

Non so mai a che fanno riferimento le poesie che scrivo, mi aiutano semplicemente a comprendere chi sono diventato.

Avevo cinquanta euro in tasca, ma non ci pensavo nemmeno a pagare il biglietto del treno. Così mi sono appollaiato sulla panchina al binario 2 aspettando il regionale per Verona.

“Ciao,” comparve in maniera piuttosto banale, poco banale era il suo sorriso che non faceva altro che chiedere di essere condiviso.

“Ciao,” io del resto non potei far altro che sorriderle, non mi sentivo affatto pronto per intrattenere un discorso con una ragazza, ma non avevo altra scelta, “vai a Verona?” Mi dava le spalle intenta ad allungare il collo nella speranza di scorgere il treno.

“No, Bologna,” era incredibilmente bella racchiusa in quei jeans a vita alta e in quella giacca di pelle nera che avvolgeva le sue forme. Ricordo che restai a guardarla per diversi secondi.

“Hai sbagliato binario, qui passa il regionale per Verona.”

“A Verona ho il cambio.”

“Io sono Emanuele,” tesi la mano verso di lei, si voltò, mi sorrise e la strinse, “Marta.”

“Arriva il treno.”

“Fantastico.”

Salii sullo stesso vagone, ma in mezzo alla folla di pendolari la persi, camminai a lungo su e giù lungo il mezzo, ma non c’era traccia della ragazza. Mi sedetti sul primo posto che mi capitò sottomano, in maniera distratta.

“Cucù!”

Eccola lì, di fronte a me, di nuovo con quel sorriso, teneva in mano un libro di Baricco e aspettava che io dicessi qualcosa.

“Che casualità.”

“Pensavo stessi cercando di evitarmi quando non t’ho visto dietro di me.”

“No è che mi son perso, è molto che non prendo un treno.”

“Capisco…”

“Che vai a fare a Bologna?”

Mi raccontò di lei, dei suoi studi di filosofia, dell’idea che s’era fatta dell’umanità, delle sue gioie, dei suoi dolori, quelli più leggeri, pensavo non avrebbe mai smesso di parlare, io interagivo a strattoni, riuscivo a buttare qua e là, con parsimonia, delle frasi di senso compiuto, per il resto del tempo rimasi semplicemente estasiato ad ascoltarla.

“Sto parlando troppo?”

“No.”

“Devi dirmelo se ti do fastidio.”

“No, tranquilla.”

“No, ok, sto parlando troppo.”

“Va tutto bene ti dico.”

“Tu, piuttosto, chi sei Emanuele? Da chi o da che cosa ti porta questo treno.”

Esitai, temevo che dicendole la verità l’attenzione dei nostri discorsi si sarebbe spostata totalmente sulla mia patologia e io sarei diventato, come al solito, la povera vittima in cerca di compassione.

“Io, vedi, lavoro nel…” non feci in tempo a finire la frase che Marta si tolse gli occhiali da sole rotondi alla Jhon Lennon, e fu allora che iniziai a capire.

“Io ti conosco.”

“Non credo, mi ricorderei una faccia come la tua,” sorrise come chi cerca di fare un complimento.

“Questa mattina ho letto una poesia che parlava di te.”

“La vita copia l’arte, si sa.”

“L’ho scritta io quella poesia.”

“Fammi leggere.”

Infilai la mano nella tasca della tuta e dopo un paio di fazzoletti usati, un accendino e un mozzicone di matita, cavai la poesia e gliela consegnai.

“E così t’è bastato guardarmi un secondo negli occhi per vederci delle radici? E il cuore? Che ne sai del mio cuore?”

“Niente, però i tuoi occhi sono quelli della poesia, mentre la leggevo immaginavo i tuoi occhi, non ci sono dubbi che tu sia la donna di cui ho scritto.”


“Sì, ma ricorderai a chi pensavi quando la scrivevi, non potevo essere certo io, ti assicuro che, prima di oggi, non avevo la più pallida idea di chi tu fossi.”

“Io sono un poeta.”

“Davvero?”

“Già, questo è tutto quello che so di me: so che sono un poeta e so che noi ci conosciamo. Per il resto è tutto nero da dieci anni a questa parte soffro di amnesia retrograda, dimentico tutto ogni ventiquattro ore, dal 20 maggio di dieci anni fa.”

“E come fai a vivere?”

“Te l’ho detto scrivo poesie.”

“Per?”

“In che senso per?”

“Per chi le scrivi?”

“Per me, che domande sono?”

“Sì, ma allora, farai altro oltre a scrivere poesie. Come mangi? Dove dormi? Che persone frequenti?”

“Non lo so, non è importante, quando mi sveglio ricomincia tutto daccapo, in qualche modo me la cavo sempre, forse lavoro, forse no, forse mangio, forse no, forse sono fidanzato, forse no. Non m’è dato saperlo, per vivere seguo i miei istinti. Non so se questa cosa mi piace o meno, in un certo senso sono libero, in un altro sono rilegato proprio dall’assenza di radici a cui appoggiarmi quando le cose non vanno bene.”

“Di sicuro avrai passato dieci anni piuttosto interessanti. Devono essere bellissime le tue poesie.”

“Non lo so, l’unica che ricordo è quella che hai letto. Piuttosto, dimmi la verità, chi sei?”

“Cazzo, guarda là, siamo arrivati, siamo a Verona.”

Ho cercato di aiutarla a trasportare il trolley, ma non c’è stato verso, si ostinava a dire che doveva farlo lei.

“Che andrai a fare a Bologna?”

“La turista.”

“Io è dieci anni che sono turista ovunque vada, fa abbastanza schifo.”

“Oh, mi spiace.”

“Penso che con te potrei divertirmi a fare il turista.”

“Lo penso anche io,” sorrise, come sempre.

Presi il treno per Bologna con Marta, non c’erano vie di fuga con lei: le preoccupazioni, le convenzioni sociali, le frasi fatte, le parole pensate e non dette; tutti i sistemi di autodifesa crollavano di fronte a quegli occhi fatti di spigoli e di curve che mi squarciavano il petto e accarezzavano il mio cuore.

Bologna è romantica perché per quanto tu vaghi tornerai sempre in Piazza Maggiore. Marta non camminava, ballava; non parlava, cantava; non guardava, sognava; non ascoltava, assaporava. Così tra libri, ristoranti, cattedrali, piccole nuvole passeggere cancellate dalla forza del Sole e piccole meraviglie che sfuggivano agli occhi dei più, ma non ai nostri; finimmo nella camera del suo ostello, nudi, lei con il volto incassato tra il mio collo e la spalla dopo aver fatto l’amore.

“Com’è possibile che io ti ami?”

“…”

“Sembra passato un secolo, mi sembra di conoscerti da sempre, eppure… un giorno solo.”

“…”

“Non mi sono mai sentito a casa, questa è la condanna per chi come me è apolide, eppure, su quel treno, mezzo per eccellenza di chi non ha fissa dimora, mi son sentito protetto, come quando avevo un nido dove tornare, come quando avevo delle radici. Hai mai provato la sensazione di volare e allo stesso tempo sentirti ancorato a terra come una quercia secolare, senza alcun tipo di paura di cadere?”

Si limitò a stringermi più forte che poté.

“Domani che ne sarà di noi?”

“…”

“Ti prego, parlami.”

Così, Marta, con un filo di voce prese a dire: “Quello che n’è da ormai sette anni.”

Rimasi fermo, immobile, come se una lama avesse trapassato in quell’istante il mio cuore, mi sentii estremamente vulnerabile, cos’era successo nell’assenza della mia memoria?

“Io e te siamo fidanzati da sette anni, ogni notte mi fai la stessa promessa: - domani mattina ci vediamo al binario due della stazione, - e così ogni giorno ci rincontriamo per la prima volta, ci innamoriamo e finiamo in una nuova città, in un nuovo letto, in nuove parole mai dette prima d’ora.”

Si alzò, era bellissima, pareva una di quelle statue greche perfettamente proporzionate, la schiena dritta era sorretta dal sedere che ondeggiava come un pendolo nel tentativo di ipnotizzarmi. Lanciò il mio borsone sul letto.

“Aprilo, poeta.”

Aprii il borsone, era pieno di fogli di tutti i tipi: piccoli, grandi, stropicciati, a quadretti a righe, erano tutte le mie poesie.

“Leggile.”

Tutte identiche, non ce n’era una diversa dall’altra, recitavano tutte gli stessi 6 versi:

Ho trovato le radici

per ricordare

nei tuoi occhi,

ho trovato le ali

nei tuoi occhi

per lasciarti andare.

“Promettimelo,” disse lei rivestendosi.

“C-osa?” Avevo la voce spezzata dalle lacrime che sgorgavano involontariamente dai miei occhi sulle mie guance bagnando le poesie sparse sul copriletto.

“Che domani ci rivedremo.”

Chi era quella donna? Un giorno? Sette anni? Tutta la vita? Da quanto la conoscevo?

“Te lo prometto.”

“Cosa?”

“Ti prometto che domani ci rivedremo al binario due.”

Finii di vestirsi e se ne andò.

Ho bruciato tutte le poesie.

Ho appeso queste pagine di diario sulla porta della stanza.

Scusa, non potevo davvero concedermi di dimenticarmi di oggi.



Nasce a Bergamo nel 1996 e dopo una vita sta ancora fermo lì. Dopo un diploma in chimica comprende che è meglio una vita sicura che l’incerto mondo della disoccupazione e si iscrive alla facoltà di lettere. Sostiene di non essere una persona molto interessante e per questo saltuariamente manda a farci visita la sua seconda personalità Manuel Marazsky, simpatico giovane di cui, avrete a breve notizie, sulle pagine di cronaca...Nera”. La sua prima apparizione letteraria è nella raccolta RABBIA, maneggiare con cura, con il racconto "L'altro me". Nel 2017 fonda a Bergamo il Ring Letterario e porta tra le valli orobiche l'arte del reading. Da questa esperienza nasce la raccolta di racconti e poesie "FIGHT, per un pugno di parole" edito da questa casa editrice. I volumi dell'autore sono in vendita presso librerie e su questa pagina.

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