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IL PARADISO PERDUTO DELLE AQUILE di Lorenzo Zucchi

Aggiornamento: 22 mag 2020


foto di LORENZO ZUCCHI (diritti riservati)

2015

‘There are some clouds’, disse il capitano. Fu sulla via del ritorno, a dire il vero. Gradisce un quotidiano? La business dei succhi di frutta che c’era una volta l’eroe del Ciclope. Il tuo viaggio in Albania? Un anno fa, ormai. Avanguardie, non siamo mai riusciti ad esserlo, c’è sempre stato qualcuno che ci ha preceduto, che ha fatto meglio, che ha fatto di più. E va bene così. Le strade alberate del nostro ritorno, le abbiamo intraviste. Fuori è proprio tutto, ma tutto come lo si ricordava, e la polvere della 500 bianca macina quella distanza minima che accudisce un desiderio sempre bambino. Doro City, c’era una cameriera simpatica. Hanno alberato la Durresit, e cambia già l’immagine complessiva tra i negozietti ormai popolari e l’architettura uniforme dell’espansione fascista. Un cortile interno, una guida che spiega quando fare pipì. Oda, eri la mia scelta, ma qualcuno a sorpresa boicottò. C’è che il caldo è davvero opprimente, e il ritiro immediato degli astanti ci mette faccia a faccia con il nostro clone di dodici anni prima, in un inseguimento modalità caccia al tesoro tra le tracce dei ricordi. Abes, come sono le strade? Skanderbeg è ovvia, in grande spolvero. I Popullor morti e sbarrati tra le lapidi delle moschee. Quando tutto questo era patrimonio di pochi, si poteva giocare a fare gli esploratori. Ora le aquile stanno perdendo il loro paradiso, rimasto segreto per molto, troppo tempo. Blloku era (resta?) la nostra parte preferita di Tirana. Il lungo Lana che aveva colorato i condominii di rosa, giallo e verde già da tempo immemore. I bar, infinite propaggini di legno trendy per un caffè da bere con la calma delle sigarette reiterate. La scacchiera alberata con il suo sentore vagamente da località balneare. E buon’ultima la piramide di Hoxha, la campana del percorso sospeso sul lago quadrato, la rivincita degli skaters e dei graffitari nella quiete delle visite guidate dalla Bielorussia. Il deficiente del 2003 mancò pure i monumenti più storici, il pavé di una strada fuori dal tempo tra rovine ancora in deficit di charme. La terrazza delle follie non è la terrazza degli aperitivi. Rakia, please! Fuori appaiono magicamente i tavolini all’aperto, i motorini, i tappetini rossi di benvenuto. Le strade interne della pianificazione a isolati hanno le facciate grezze, quasi un’attrazione pittoresca combinata con i panni stesi alle finestre e le colonne di un classicismo inevitabile. Brauhaus? E allora, sì: avete mai provato, molti anni dopo, a tornare in un posto dove siete stati una volta sola? Si chiama percorso della memoria. C’è un disco volante che porta il buio nel mondo, c’è una scatola dove i gomiti non trovano posto che parte alla scoperta dell’Albania. E se bruciasse tutto, all’improvviso? Durazzo è composta, ordinata, piace. La palmizzazione dello spazio monumentale risulta particolarmente ben riuscita, così come quella del Bulevard che scende al porto. Compriamo una palla colorata che sarà sequestrata all’aeroporto. L’uomo ragno di Santorini? Le sinapsi sono in modalità iperattiva, forse bisognerebbe anche alzare il volume, si sente parlare in tedesco, le tazzine in ceramica destano curiosità, c’è un cappello bianco con gli occhiali da sole. Soste semaforate di hotel in successione, è la domenica della gita al mare, della stampella essenziale per vite semplici, la lunga striscia di ombre alberghiere già pullulante di ombrelloni colorati e auto parcheggiate ordinatamente in ogni dove. Quest’estate volevo andare in Albania. Anche noi! Ma come sono le strade? Credo che Scutari sia un’Albania diversa da quella della costa. Un disagio maggiore. Tra le sfide a dribbling e il paradosso della carta verde si insinua comoda la SH4, svincoli sulla sinistra e inversioni a U, fabbriche di terrecotte e statue astratte alle rotonde, gommisti e tir aggressivi, cellule abitative lontane e moschee in costruzione finanziate dalla Turchia di Erdogan. Siamo sinceri con il cibo che mangiamo? Valona, cosa non evoca questo nome. E la sorpresa ormai è relativa, che il bluff del sentito dire va sparendo. La compostezza monumentale del vecchio luogo di culto centrale si sposa con il flavour della collina verde, con le torri recenti di un lungomare curato, le strade sempre lunghe e ampie a inquadrare il bandierone sul pennone. C’è una bimba che gioca a carte al Koral. E le ruspe guadagnano terra al mare. Parte la sfida più bella, quella della costiera che gioca a nascondino con i fiordi delle auto in coda, tra i saliscendi di taverne di montagna, il birdwatching forestale, lo sguardo a perdita d’occhio nei tornanti di sorpassi da brividi. Tu lo sai cos’è, un pranzo tardivo? Vieni, vieni con papà, quando arriverà la mamma questo non si sa. C’è l’ospedale, c’è la stazione dei bus. La lingua parlata sarà svedese o norvegese? I cuochi si sono formati in Italia, sanno cucinare bene il pesce secondo il gusto del paese vicino. La pasta? La pasta non è quasi mai buona, in nessun posto nel mondo, tranne le specialità veramente ‘locali’. Himara, dunque, anche qui varie spiagge ben tenute e parcheggi a lisca di serenità. Porto Palermo, l’infinito del romanticismo marino, una penisola con una rocca antica tra due lembi di spiaggia contornati da spoglie montagne di vegetazione a macchia. Non costruiranno mai resort ‘Sveti Stefan style’ qui. O forse sì. Ogni giorno che passa è un quadro che appendo. A Borsch l’acqua è celeste, non lo dice solo l’ambasciata del turismo. E le sorprese non finiscono. Saranda è Costa Azzurra, anche qui qualcuno ci precedette, e non l’avremmo colpevolmente mai immaginato. Una maglia nera di una band metal qualsiasi, strutture datate rilanciate nel lungomare delle bancarelle, cocktail bar con vista, gelati felici e rovine da visitare al tramonto, che è sempre il momento migliore per fare qualsiasi cosa. E l’ultimo tratto di strada che ti sorgono mille domande, il bacino artificiale largo sulla sinistra, i tornanti di isolate propaggini alberghiere e residenziali sulla destra (troveremo il ristorante al terzo tentativo?); ‘Hasta la Vista’, l’avete voluto cambiare voi il nome? E il minigolf della festa di paese, il nucleo che appare scomposto di edifici isolati sulla collina, Birra Tirana, l’albero di limone, Ksamil, un monumento ai danzatori tradizionali come accoglienza calorosa, qui i piedi saranno sempre liberi, nonostante gli sterrati e la ghiaia pietrosa. Vasi di fiori e cancelli blu. Il rosa delle ville economiche. La gestione è greca, la minoranza invisibile di un confine latente, il profilo di Corfù evidentissimo nelle giornate luminose. Accendiamo le stelle nel cielo notturno, la soddisfazione ha sempre il profumo del luppolo. Purtroppo, la curiosità (o la pigrizia?) uccise il gatto randagio. Il ‘centro’ è in collina, di ripide salite molto sozopoline, gli uffici dei servizi, alla Conad ci sono i favolosi, le due icone semiabbandonate di un culto qui fortunatamente minoritario, la latta di un minareto e il cancello chiuso di una chiesa ortodossa. Condividiamo la stessa biologia: un’anatra verde, un papero giallo, una renna rossa, un granchio grigio. E spiagge affollate per altri standard, che la prenotazione ci priverà del punto più bello, le Tre Isole angolo incantato di ore pigre e piacevoli, le signore con i vassoi in mano, i tuffi nel celeste dalle rocce, i tavoli di legno con le sedie rosse e blu, i divanetti accoglienti di cuscini bianchi e rossi, i souvenir nella notte buia di tramonti infuocati a palle da zoom. Ciao Bar, Isole Gemelle. E il byrek ormai è piatto nazionale, vera delizia da street food di chi comunque dà una chance a tutti i ristoranti. Sul tetto? Ti piace quel tavolo? Un vestitino comprato su un sito cinese a poco prezzo è arrivato dopo due mesi. Esploriamo ancora, c’è sempre il viaggio di ritorno. Perdiamo l’aereo? Butrinto, innanzitutto, un magnete che si è rotto. Due innamorati fotografati sul ciglio delle canne al vento. Un traghetto minimo di immobilità da profondo Po. E l’UNESCO non sbaglia, se anche i bambini si appassionano alla visita. Argirocastro, poi. Che la rinuncia a Berat non si sopirà mai. E le guide del mondo arrivate tardi, che si poteva includere Delvina. C’è un taglio di capelli corto, c’è un vestitino a fiori. Un posto che ci sembra di conoscere da sempre, e che merita una (più) lunga esplorazione dei suoi vicoli di muretti e pavé, i tappeti nei colori obbligati della bandiera, le torri in pietra e i busti agli istruttori di guida di case aristocratiche perfettamente conservate. Dopotutto si tenta la grande missione, la salita al castello, nella speranza che i cannoni non sparino, nella consapevolezza di infilate prospettiche di lampioni triangolari, nella retorica ridondante di mosaici e quadri celebrativi della potenza militare autoctona. Lucas Oil e mai bine decât Lukoil (Lucas Oil è meglio di Lukoil). E non si arriva più a Fier, e la mamma dorme. È ufficiale? I cugini poveri (o ricchi) che aggiungono Fushe li abbiamo già passati. Andiamo alla vecchia roccaforte di Kruje, dove osano le aquile, appunto. Passiamo negozietti deserti di bamboline. La spianata del castello è super-scenografica, anche per un Timido che da contratto non scatta nelle prossimità aeroportuali. C’è un ristorante tradizionale, perfetto. Vogliamo proprio rilassarci, isolarci, gustandoci il panorama della collina che si staglia su un cielo che tra poche ore solcheremo. Ma un urlo inopinato squarcia il silenzio circostante: ‘Giancarlo!!!’

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