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EARLY BIRD HONEYMOON (Nuova Zelanda - 2009) di Lorenzo Zucchi



EARLY BIRD HONEYMOON

Nuova Zelanda - 2009


Lo Sposo si allunga sulla schiena della Sposa, per buttare uno sguardo oltre il finestrino, nell’ultimo tratto della loro traversata, che gli è sembrata infinita. 'Guarda, la lunga nuvola bianca', le dice, riferendosi al nome che i maori diedero alla terra (Aotearoa), che ultimamente sta riguadagnando la considerazione che merita. Le siepi sono verticali, gigantesche, nelle strade di Christchurch; si perde a osservare le targhe d’auto, le preferenziali, i giardini e i vialetti dei motel. La navetta è appena partita, si incamminano a piedi, attraversano un parco, riconoscono un'altra auto a noleggio tra i paletti color smeraldo e le distese verdi, fotografano i tronchi della terra di mezzo, che qui fu ovviamente ambientata la saga del Signore degli Anelli. Ci sono anatre, nelle aiuole di un college. Si fermano a farsi una pinta con gli studenti, in un bar all’aperto, la Sposa ora indossa la faccia scura, come la birra che beve. Il soprannome di città giardino è meritato, anche se l'orologio floreale li delude, i negozi sono già chiusi. Davanti all’edificio della sede di The Press, che fa molto primi Stati Uniti, inforcano un altro pub. Si perdono a inseguire souvenir di un tram, davanti a un memoriale, prima di ordinare un sauvignon blanc da abbinare a un filetto vittoriano, decidendo di prendere un taxi per il ritorno. Cosa hanno amato di più, il grande parco o il reticolato centrale?

Nella notte la Sposa non riesce a dormire, colpita al cuore dalla differenza di fuso orario, la schiena appoggiata al grande cuscino. Quando vede che anche lo Sposo è sveglio, fa la sua proposta: ‘Lo, partiamo!’ Fanno colazione alla BP, alle cinque del mattino: muffin al doppio cioccolato per lui, tortina di maiale per lei. Mentre la notte comincia ad arretrare per lasciare la gloria al giorno, passano il campo da golf di Ashburton, svoltando panoramicamente dalla statale per entrare in Timaru, fino al parcheggio centrale dei cercatori d'oro. Qui la gente è rilassata, vanno a vedere i vecchi magazzini del grano, proprio mentre passa il treno. Il paesaggio urbano concede strade popolate da pecore e da tir, da alpaca pigri, nel trionfo del giallo circostante. Nei negozietti ammirano porcellana e vetro, comprano un paio di statuette di uccelli autoctoni. Il venditore ha la guida Rough in vetrina, dove in copertina sono raffigurate le famose Moeraki Boulders, massi grandi e sferici che la gente del posto ha come ingresso di casa. Le vanno a visitare, lo Sposo memore del suggerimento di un collega che gli disse senza indugi come per lui fossero addirittura l’attrazione principale di tutto il paese. Il caffè è un brodo, dovevano aspettarselo. In auto vanno a percorrere la penisola di Otago, fermano il motore, fermano gli sguardi, mentre si ferma il loro battito davanti a scenari di natura incontaminata; in località Doctors Point la strada è interrotta, a continuare in uno sterrato. Alla via più ripida del mondo, ormai alla periferia di Dunedin, notano un piccolo gruppetto di turisti giapponesi. Fu declassata da una lane gallese, ma poi tornò nel Guinness dei primati, che l’altra non era urbana per nulla. Lo Sposo ama la città che porta il vecchio nome di Edimburgo, adora lo stile da scale antincendio della loro sistemazione, va a chiedere un adattatore di corrente. Ci sono molte gallerie d’arte, in centro, mentre Farmers festeggia i 100 anni, tra le propaggini collinari che promettono musei, le infradito infinite dello shopping, le università in tonalità austere. Ci sono così tanti pub che sembra un festival a loro dedicato. Vanno a cena alle 18, appena apre il ristorante. La Sposa comincia a gustarsi il prelibato lamb, lo Sposo sceglie un modesto chicken lemon, un birra artigianale a consolarlo delle risatine che riceve. Il loro primo ricordo della seconda città più grande dell’isola del sud è un portico o un semaforo?

Lo Sposo guida con il suo solito stile a strappi, a frenate senza senso, anche in presenza di un traffico assolutamente inesistente. Nel crepuscolo sbagliato di nuvole nere, spara una pillola di storia per descrivere la zona che stanno attraversando: ‘Catlins era il nome dei proprietari terrieri originari'. Purtroppo diluvia, la strada che porta alla foresta pietrificata è chiusa per la stagione della nascita degli agnelli. Scelgono percorsi che sono distrutti o di pietra. Inzuppati scendono qualche scalino in legno per ammirare le cascate, tra i negozi di noleggi turistici vuoti, le indicazioni sprovvedute, le foto sfuocate, il freddo dell’umidità. La Sposa ammira baie panoramiche, nel vento forte che non sveglia i pinguini addormentati, davanti a un faro che si aspettava ancora più selvaggio, fuori dalle rotte. È presto ma sono già arrivati in città, a Invercargill, uno di quei posti che lo Sposo aveva mitizzato, nelle sue tante ore passate a immaginare viaggi per il mondo. Le attrazioni costano molto, in generale, in Nuova Zelanda, ma il cassiere offre loro uno sconto, quando vede che non sono così disposti a visitare il Tuatarium. Eppure risale addirittura all’epoca vittoriana ed è pieno zeppo di fauna locale, oltre che degli esemplari iconici di quel rettile strano che è l’unica specie sopravvissuta di un’intera famiglia. Anche a chiamarlo sfenodonte, lo Sposo non lo conoscerebbe. Ma non si cruccia, che tra le foto alle guglie neogotiche, ai carretti delle pompe funebri e ai negozi di vernice, trova il suo rifugio preferito, un pub irlandese d'atmosfera, sotto lunghi portici, dove un piatto di finte bruschette può servire come antipasto, mentre al tavolo a fianco siedono tre figli uguali. La Sposa si confessa a lungo, sotto la cupoletta del ristorante che serve le gustosissime ostriche di Bluff; lei però non si attenta a sceglierle, in compenso le favolose cozze verdi giganti resteranno nella sua lista dei ricordi gastronomici di ogni viaggio. Dalla terrazza al piano di sopra del loro modesto albergo, si vedeva meglio la chiesa battista o il teatro civico?

È ancora buio e fa freddo, anzi, it’s freezing, come dicono qui; la Sposa accoccolata sul suo sedile da passeggero sulla sinistra, manda un SMS alla nonna dello Sposo, che segue in differita le loro vicende: 'Oggi facciamo la strada più bella del mondo e dell'avventura'. Non avrebbe dovuto scriverlo, probabilmente, ma l’entusiasmo era indescrivibile, di montagne nella notte, di laghi spettacolari, di una sosta per fare colazione nei motel con vista, in contemporanea col risveglio dei lenti turisti organizzati. Un cartello annuncia l’ultima pompa di benzina sulla strada, nessun rabbocco, ma comincia qualche avvisaglia, il terrore ha il nome della neve. Nei Mirror Lakes, ritrovano i riflessi delle cime della valle. Ripartono. I fiocchi cominciano a cadere in maniera più corposa. Un grande cartello luminoso, a lampeggianti gialli, spezza la magia, interrompe la paura dello Sposo, the road is closed. Una maledizione, a ottobre, che li priva del famoso Milford Sound. Non possono trovare conforto nei produttori di frutta, nei teloni che proteggono le vigne, nelle illusioni lacustri dove i lookout si susseguono senza sosta, che dopotutto, sì, Queenstown è comunque un posto sconvolgente. Lo Sposo annota mentalmente la posizione di una pompa di benzina, non vuole perdere tempo, anche se ne avrà, tra gli aghi e le pigne delle conifere, mentre ingoia voracemente una birra Holden australiana. Il sentore alpino da località di villeggiatura svizzera è evidente, o forse è solo la deformazione del percorso di chi ha visto prima altre destinazioni; salgono sulla Gondola che offre loro panorami vertiginosi, sulla cima c’è un bungee jumping che tenta fortemente la Sposa. Optano invece per il giardino zoologico, con il kea verde scuro, con le anatre di mondo, con il kiwi che dorme nella capanna che ricrea il sottobosco. Per via della differenza di luce tra l’esterno e l’interno, hanno difficoltà a trovarlo. Mentre lo Sposo sta per uscire, deluso, la Sposa lo richiama, a voce bassissima: ‘Lo, è qui’. Non resta che bere, almeno un’altra birra, all’happy hour dei turisti di una certa età, che dominano sempre le scene, anche qui. Percorrono il pontile, le stradine di casette ricostruite in loco, salgono al piano secondo di un edificio commerciale per gustare le sublimi costolette d’agnello, nella notte del rugby e dei taxi. Le fogge triangolari degli edifici del lungolago, stanno meglio in legno o in pietra?

Ogni mattina inizia prima del tempo, nel freddo di circostanza delle gole. Niente li può preparare a sufficienza per l’apparizione di Wanaka. Lo Sposo arresta l’auto, si infila in un bar di legno, ordina un paio di cappuccini, un paio di hash brown, la Sposa è ancora sul molo a immergere lo sguardo nella bruma del lago. Nel clamore degli scarponi che scheggiano il pavimento, lo Sposo parla all’orecchio della Sposa, una cosa che lei odia, ma che lui non riesce a memorizzare: 'Oggi facciamo colazione con gli sciatori'. Vuole andare a visitare il labirinto più grande del mondo, già si immagina a perdersi tra le siepi. Ma la Sposa dice no, ha la sua fidata vecchia videocamera in mano e filma in continuazione, lungo le sponde delle scenic routes, quando da un lago si passa all'altro, nell'ultima neve vaporosa di ponti e cascate. Completano in fretta il loro trasferimento, nel giorno più semplice di tutto il loro viaggio di nozze. Hanno raggiunto tropicalità dai toponimi che hanno un sentore più che austriaco (Franz Josef), in una vallata grigia di ghiaia, dove il ghiacciaio arrivava nel 1750. Il loro motel sgangherato è sulla strada principale; non c’è molto altro, a dire il vero. Mangiano bianchetti freschi, in frittata, al Lake Matheson, pensando poi di smaltire con la lunga camminata fino alla View of views, senza sapere che ci sarà sì un pappagallo in libertà, ma anche l’ennesima indicazione di percorso interrotto dalla stagione del maltempo. Bevetevi un'altra Monteith's, dice la guida, al riguardo di questa destinazione, lasciandone trasparire il nulla. Lo Sposo vuole anche la bottiglia di vino, la Sposa si arrabbia, appena arrivata a casa comincerà a preparare i documenti per il divorzio. Questa tappa (Fox Glacier) fu aggiunta dai corrispondenti di Luca.

Quando la statale abbandona l’interno e comincia a inseguire il profilo delle coste, sorge il sole, sui ponti a precedenza dove un senso di marcia passa sempre prima dell’altro, sulla torre dell’orologio che annuncia Hokitika. Lo Sposo ha studiato la cartina, tanto per cambiare, e anche la divisione amministrativa neozelandese, per poter fregiarsi di più feticci possibili al livello inferiore, che in questo caso è rappresentato dalle sedici regioni, tra cui la West Coast. La Sposa ha sonno, ha fame, lo implora di fermarsi, ma lui ha già deciso e ribatte con tono deciso: 'Ci fermiamo a prendere un caffè a Greymouth'. La sosta sarà uno squarcio sulla realtà della provincia non turistica, apprezzeranno le conversazioni dei meccanici davanti a un piatto di uova strapazzate, le boutique che vendono foulard polverosi, le strade della cittadina invase da manufatti di ferro ferroviari. Nel riprendere la costiera battuta dal vento, oltrepassano cartelli che indicano pinguini, nuvole che cambiano il clima in un secondo, tentazioni di scattare foto ogni cinque minuti. Le Pancake Rocks di Punakaiki sono la sorpresa più bella, nessuno le aveva reclamizzate, ma loro si inebriano, a vedere i geyser spontanei dei blowholes, in una estesa formazione geologica che deriva dall’azione dell’acqua sulle rocce. Westport is NZ, dice il cartello, come a sottolineare che altri posti dell’isola non siano così caratteristici. In realtà, qui sembra quasi Europa, pensa la Sposa. Lo Sposo si mette a schiacciare sull’acceleratore, a volare coi sorpassi; è solo un falso miglioramento, un rischio, anche se queste strade collinari dell’interno ispirano. Per andare a Kaiterireri, nel cuore del Tasman, attraversano disciplinate distese di vineyards. Vogliono rendere omaggio a una delle cinque spiagge più belle della Nuova Zelanda, che è già cominciata la stagione degli articoli online dove si elencano posti senza un vero criterio, solo per avere un maggior numero di click e di introiti da banner pubblicitari. Richmond, è morbido l’indugiare tra queste staccionate, lo Sposo si ferma a immaginare scaffali interi di bottiglie dal collo lungo. Se hai la polvere negli occhi, passerà nella tua mente; la stanza dell’hotel di Nelson ha la vista sul fiume e una piscina deludente, che comunque fa un freddo da tremare. Lo Sposo ama istantaneamente South Street, la battezza addirittura come la cosa più bella del viaggio, c'è pieno di etnici, persino McDonald's diversifica il menù. La Sposa preleva a uno dei tanti bancomat dell’ANZ, beve un caffè al volo, era così che si immaginava la città, tra templi della massoneria, strade larghe e bassi edifici adibiti a rivendita liquori. Sceglie lei stavolta, basta pub, si accomoda nel salottino in finto stile di una sala da thè. Di fronte hanno già il ristorante per la cena, decisamente troppo caro, dove ordinano un paio di tonni semi-crudi; c’è gente solo di una certa età, Vettel ha vinto il gran premio di Formula 1. La cattedrale sul cucuzzolo, come la definirebbero in breve, usando quale parola: collina, gotico, portale o vela?

Blenheim è nelle vicinanze, già, lo Sposo ha voluto partire con un certo anticipo, altro che mezza giornata, come sostenevano le mappe. È un obiettivo sfidante, lasciare l’isola del Sud. Se vivessero per sempre, tornerebbero molte volte. Fanno rifornimento alla Shell, oggi hanno saltato la colazione. Lo Sposo canta, spesso, inventandosi fastidiosi ritornelli, stavolta tortura la Sposa con 'I'm happy to be in Picton', mentre si fa la coda per restituire la macchina a noleggio, mentre si fionda a comprare i biglietti del traghetto, mentre si attarda al molo durante l’inizio dell’imbarco. La partenza è quella di ogni bella gita sul mare, la brezza che fa girare loro la testa per intercettare ogni fiordo, ogni promontorio, ogni avvistamento di branchi di cuccioli di delfini. La Sposa si mette in fila, al piccolo bar. Osserva i ragazzi del luogo, che vanno a passare il venerdì sera nella capitale. Prova a imporsi un minimo di accento, ripete quello che ha sentito dire prima del suo turno: 'A bunnet of chips, please!'. Tra le conversazioni della compagnia che spesso sfociano in risate, la musica dallo stereo portatile si diffonde ad alto volume per la nave. Lo Sposo, seduto compostamente nella prima fila di poltroncine all’interno, nota un improvviso silenzio, un rollio che da lento si fa sempre più intenso. Nel guardare l’orizzonte, scorge onde che si infrangono, la prua che si inabissa, l’isola del nord lontana. La Sposa si alza, il mal di mare è più forte del disorientamento davanti a un pavimento in movimento. Passa il personale del traghetto, a sincerarsi delle condizioni dei passeggeri: 'Are you guys OK?' Non sono marinai, non hanno avuto paura, attendevano solamente il loro destino. Il traghetto con qualche ulteriore fatica supera finalmente il tratto oceanico aperto, placandosi di coste protettive. All’autonoleggio lo Sposo ritrova ancora una volta una Toyota Corolla, stavolta grigia (non bianca), con il bonus inatteso della sesta marcia. Featherston Street fa capire che Wellington luccica come ogni capitale, trovano il loro Ibis, hanno messo finalmente bandiera. Lo Sposo accenna di voler parcheggiare in un garage diverso da quello dell’albergo, la concierge lo fulmina con un 'Wilson charges you 35 dollars'. Devono solo attraversare la strada, anche qui, per pranzare; la cucina sta per chiudere, ma li fanno accomodare, c'è la famosa pavlova, ne prenderanno una porzione, da dividere salomonicamente, per godersi il momento, come se non ci fosse la fretta di correre a esplorare ogni angolo di una città apparsa da subito splendida. Nei cantieri che rifanno l’asfalto ci sono degli operai maori al lavoro, passa la stazione ferroviaria, passa l’università. Edifici in legno, colline, scorci da insegne alcoliche. Dappertutto cartelli che segnalano sconti per gli ‘early birds’, cioè per coloro che vanno a cena all’orario di apertura, lasciando più spazio per servizi successivi. Visitano il parlamento, soprannominato l’alveare, come lo Sposo tiene a precisare. Salgono con la Wellington Cable Car, una storica funicolare rossa, in sobborghi collinari che non hanno il tempo di perlustrare; la Sposa si lamenta che questa attrazione si sarebbe potuta fare anche dopo, visto che adesso stanno per chiudere i musei. Ma al Te Papa la classe dell’anziano controllore di biglietti è eleganza pura, nessun rimprovero, anzi, un’esortazione: in mezz’ora possono vedere tante cose, magari almeno il calamaro gigante, le ricostruzioni delle case maori, qualche testimonianza delle culture del Pacifico. Fuori fa caldo, finalmente, lo Sposo nota più di una ragazza in giro senza scarpe, lo sapeva, aveva visto il famoso film-icona ‘La ragazza delle balene’. Si spostano nella zona nord della città, laddove la guida diceva che ci fossero alcuni sexy shop, come a sminuirne la bellezza; lo Sposo perde il suo cuore, che finisce in una laterale, in una piazza verde lontana. Tra le fontane che spruzzano il loro contegno, le giacche e le cravatte invadono i pub della città ormai deserta, rappresentazione vivente di un museo del vento. Al ristorante chic del waterfront, ricompensa finale di un sogno vissuto dal vivo, lo Sposo sceglierà finalmente le ostriche, la Sposa finirà ancora in bagno prima del tempo, tra la mancia di una cucina a vista e pesci giganti serviti per main. Quando il tendone che si vede dalla finestra ha una scritta Stella Artois, cosa si può chiedere di più alla vita?

Negli autolavaggi di Thorndon, nel traffico in ingresso verso la città, penseranno ancora a quanto sono stati fortunati. La Sposa è abituata ai livelli estetici dell’altra isola, e i primi scenari di quella del nord, meno spettacolare, la lasciano riposare con una smorfia accennata. Durerà poco, poi sarà di nuovo tutto meraviglioso: Greytown, Carterton, Masterton, il ponte della battaglia, la fabbrica della Tui, la fattoria del vento con le pale giganti a Woodwille. Tutte le lavagnette esposte fuori dai locali hanno uno special of the day, il loro arrivo a Napier è panoramico, sul lungomare, mentre transita un old-timer con la sua vettura degli anni Cinquanta. La città è famosa per le numerose testimonianze di art déco, nonostante un terremoto distruttivo dei tempi andati, l’atmosfera è frizzante, tutte le stanze hanno vista oceano, inclusa la loro. La mermaid locale assomiglia di più a un personaggio Disney, per fortuna ci sono svariate scritte, frontoni, date impresse sulle facciate degli edifici. Attraversano parchi, si stupiscono dell’illuminazione a giorno della pedonale, hanno tempo per fermarsi a vedere di che livello sono le cartoline. Lo Sposo fotografa un rosone bianco, la sua sublimazione in campanile, il suo profilo minimalista sul cielo blu. Vanno a giocare a minigolf, che hanno ore pigre da passare, nella loro luna di miele. La Sposa vince, lo Sposo come sempre si innervosisce, lancia la mazza lontana, si ricorda perché non facesse più da secoli le diciotto buche. Hanno deciso di andare a mangiare in un posto carino, un lounge bar che fa anche piatti di pesce, lungo il viale di palme che lambisce il Pacifico. Entrano, senza essere ricevuti. La Sposa si guarda intorno, prende lo sposo per un braccio. Il suo responso non ammette replica: 'C'è puzza, usciamo'. Così la loro cena è per una volta in una catena, ‘Lone Star is NZ', anche questi si appropriano del marchio di fabbrica, in una location alla buona di menù giganti, hamburger e birra chiara alla spina. Quale sarà stata la citazione più famosa della giornata, ‘they are boys’ o ‘for lease’?

Sedersi in una sala piena di tovaglie che sono state lavate troppe volte, lo Sposo non ama perdere tempo così, ma deve essere accomodante, che per le fontane, per le spa all'aperto, per il mix sconcertante del profumo alle rose e delle sigarette avrà tutta la mattina, a riflettere sulle statistiche che sottolineano come in questa nazione ci siano 400 campi da golf per soli 4 milioni di abitanti. Non c'è più neve, stavolta, hanno riaperto la strada ieri, o il loro itinerario avrebbe avuto fondati problemi a proseguire. Mentre attraversano la simpatica Taupo di ristoranti per famiglie sul lago, urla rapidamente alla Sposa: ‘Riprendi il pesce', intendendo con questo la solita statua gigante in vetroresina di queste località senz’anima, legate alla fauna dei dintorni. Non lesinano, hanno una lunga serie di attrazioni sulla loro lista, per prime le Huka Falls, dove il fiume Waikato si restringe in un canyon largo appena 15 metri. La Sposa ama i Craters of the moon, torna persino sui propri passi, più di una volta, nella nebbiolina termale per la quale le foto non rendono, e forse solo il filmato può trasmettere le emozioni di queste fumarole a orologeria, che allo Sposo ricordano per un attimo i vecchi film di Lucio Fulci. ‘Il Wai-o-tapu è finto’, nel suo essere riserva geotermale colorata, così dissero loro, anche se l’arancio e l’azzurro fanno sempre un bell’abbinamento. Nemmeno il tempo di risalire in auto che sono già al Waimangu, una favolosa valle vulcanica, dove affrontano una discesa nella natura per chilometri, attraverso acqua celeste, pozze verdi, terrazze color mattone; quando devono scegliere se proseguire fino in fondo non resta loro che l’unica possibilità di salire al volo sul bus che li riporta al parcheggio. In ingresso alla città dei divertimenti ribattezzata Rotovegas, il parco tematico del Te Puia ha una componente naturalistica a base di geyser e una di cartapesta che conta principalmente sulla scenografica messa in scena delle maschere maori; ciò che per le guide è un must qualche rara volta può dare adito anche a un meritato skip. Non è ancora contento, lo Sposo, non è ancora stufo di attrazioni nella natura. Trascina la Sposa, ormai stanca, fino al Buried village, prima di piangersi addosso a suon di ‘povero me', dopo aver visto quello che offre il posto: una pecora tranquilla che bruca l’erba, qualche croce disseminata nel giardino, tra i resti pietrificati di pochi alberi bruciati dalle eruzioni dei vulcani. Stavolta la città è loro per davvero, al check-in nell’hotel della catena francese fanno la guerra per una stanza, la cui vista dà sui cassonetti delle laterali, invece che sul grande lago rotondo del distretto di Rotorua. Non c’è nemmeno la bottiglia (un bonus che qualche sistemazione offre alle coppie in honeymoon). Tocca allo Sposo farsi ancora una volta la scenografica rampa di scale, secchiello e asciugamano renderanno fruttata la loro notte. Ma adesso sono in giro, indefessi, tra i rosoni anglicani, il rosso indigeno del marae pre-cristiano, i cigni neri che fanno le star, i pukeki liberi nel parco termale del grande museo a forma di villa britannica. La Sposa si stupisce dell’animazione che regna per le strade come sempre a reticolato del centro, tra cinema, bar, rivenditori cinesi, ristoranti di ogni cucina, anche quelli rigorosamente locali che espongono l'adesivo nero e oro dell’agnello di qualità certificata. Lo Sposo ci ricasca, stavolta ordina pesce, proprio dove sono premiati per la carne; gli viene sete, ma è troppo tardi. Se la pioggia li avesse bagnati in anticipo, avrebbero dato da mangiare ai gabbiani?

La mattina dello Sposo comincia a piedi nudi, si è stufato di dover invidiare le ragazze del loco, anche se pioviggina e non fa caldo, mentre si fermano a mettere microbandiera ad Hamilton con un caffè che non basta a far passare il sonno dei tergicristalli in funzione. Il padrone del bar si informa, su dove stiano andando. ‘We are passing through’, risponde lo Sposo, anche oltre i manifesti tappezzati e il degrado industriale di Huntly, anche in autostrada, novità assoluta del viaggio. Già da lontano è pazzesca, la posizione di Auckland, mentre uno svincolo annuncia ‘City Center’ e non, come lo Sposo si sarebbe aspettato, ‘Downtown’. La Nuova Zelanda ha bisogno di più gioco d’azzardo? La Sposa vuole salire subito sulla SkyTower, tra le boule de neige e i peluche di un souvenir shop molto ben fornito, gli ascensori a caduta e i tre livelli della visita a vetro, flash e nuvole. PF, il cofondatore delle bandiere, mandò un messaggio allo Sposo, il giorno prima, rispondendo a una richiesta di giudizio sulla città delle vele: ‘È bella, se vuoi un po' anonima, certo non bella quanto Wellington, ma ci andrei a vivere subito'. Così la brezza per una volta è quella delle maniche corte, a osservare la pausa pranzo della polizia con un asporto dal take away indiano. La Sposa sceglie il fish&chips, nel pub più vecchio della città, agli orari sfasati di un fuso che non accenna a smettere di tormentarla. Lo Sposo ha tempo per un giro esplorativo solitario, a spuntare nella sua lista i moa in vetroresina, i centri commerciali del tabagismo, i teatri nelle laterali alberate di recente. A Elliott Street lo struscio è un fremito, lo sguardo un battito, il passo un azzardo; perderanno il cuore nella speranza dell’amore, tra le immagini nitide della folla, del loro sentirsi a casa, di orologi che indicano la strada per cercarsi ancora. Fanno shopping, lo Sposo non può non comprare la maglia degli All Blacks, anche se ce l’hanno pure in Corso Vittorio Emanuele. Al Waterfront si divertono a fare una breve coda, indossando palandrane che rimetteranno in un lontano futuro a Milano, per gustarsi il cocktail ghiacciato del Minus 5 nel bel mezzo del quartiere portuale. Mentre la loro cena si dipana lenta, di telecamere fuori uso e di location eleganti con vista sulle imbarcazioni, sui tramonti e sugli arrivederci, le acque senza cuore precipitano, cadendo su di loro. Lo Sposo posa improvvisamente la forchetta. Si rivolge alla Sposa, eccitato: ‘Ho capito a cosa servono tutte quelle tettoie fuori dai negozi: a proteggere dalla pioggia!’


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