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EAMON’S COFFEE (Irlanda - 1997) di Lorenzo Zucchi



A Dublino c’è una linea di metropolitana leggera che si chiama DART (acronimo di Dublin Area Rapid Transit). Previsioni del tempo: a Dublino piove (cit.). In questi giorni sarà snaturata, spezzata, per servire le aree interne della città e le contee prossimali. Ma nel 1997 serve solo la costa, romanticamente, dall’estremo nord all’estremo sud urbano. Ed è amore a prima vista, amore disinteressato e totale, di quelli che trafiggono il cuore permanentemente, salvo volerli andare a verificare a distanza di tanti anni.

Siamo in vacanza studio, parte prima. E Aer Lingus farà una discesa su Malpensa in picchiata, i ‘boccia’ urleranno. Qui sono 21 i giorni, permanenza da record, Conciliazione la tappa calcolata, l’inutile mappa in lingua inglese. E un benvenuto caldo. Cominciamo da nord, perché a nord non sono andato mai, solo una volta per vedere l’Occhio di Irlanda, che tutti hanno visto l’Occhio di Irlanda, anche Monici. Monici mi sale sul bus alla fermata dopo la mia e si siede di fianco a me. Chi disse ‘come va?’, io o lui? Quando si parcheggiava la macchina fianco a fianco nei garage di Via Rondani. L’occhio in questione è un’isola disabitata con una rovina molto stereotipo irlandese. C’è anche un altro castello sulla collina e un molo classico con le solite attrazioni da waterfront. Diciamo che la parte più bella è stata il viaggio per arrivarci, attraverso la periferia nord della Drug Free Zone, mattonati scuri che adesso con l’economia che vola sono tutti colorati di insegne commerciali. Bayside, Kilbarrack, Raheny, Harmonstown, Killester, nomi che suonano come poesie, con una settimana in più vi avrei esplorato tutti.

Io sono già arrivato e sto bevendo. La regola è sempre una pinta al giorno, di pomeriggio, oggi come allora. Ancora più a nord c’è Belfast, in un sabato di backstop. Ma Drogheda è repubblica, do we get what we deserve? Una lunga camminata lungo i muretti che nascondono il prato verde dei quadrifogli, chiese neogotiche di campanili snelli, saliscendi, mattonati, vernice bianca, vernice rossa, vernice verde. ‘And if you still miss county Roscommon, at least you have been to county Sligo’. Col Pipato si viaggia in treno in un bank holiday di sole, maybe it was just my imagination, ma la densità urbana è minima, Dunnes, case basse, cappelle, rovine, monitor e un Irish Stew da annali nel pub lungo il fiume. Il capolinea del ritorno è Connolly, e fate attenzione al Burger King, serve panini con solo carne. E poi bisogna chiedere dove buttare cosa. Connolly, si sa, adesso la DART non ha più una stazione dedicata, adesso c’è il tram, ci sono i docks riqualificati di un lungo Liffey calatravato di ex lande desolate e gastropub affollati, il murale degli U2 e la stazione dei bus di un razionalismo architettonico pregevole. E poi suona già così simile a O’Connell, epicentro del nord della capitale, per qualcuno addirittura la strada più importante di Dublino, sicuramente la meta dello shopping, con la Spira che ha opinabilmente cambiato l’attire complessivo. Se lo vedete, gli dite per favore che ci troviamo domani sera davanti al Trinity College alle 20? Perché la DART ogni tanto fa ritardo. Con Corinne fumiamo assieme nelle pause. La stazione successiva parla da sola, già con il nome: Tara Street. You and me, it will always be. The Irish Times. Ora il gaelico ha ingranato nelle scuole. Altro che ridiculous thoughts. Tara è un gate, da qui si arriva al quartiere più famoso, il famigerato Temple Bar, e lo squallore della consegna si apre con il chiasso, supermercati a tarda notte, cover band dei Beatles, un pub vittoriano che fu replica, the original, voglio proprio tornare a mangiare le alette di pollo piccanti. And I’m free to decide (at least which pub to pick up). Show me to the end of the night, show me to the end of tomorrow. Today my choice is Kennedy’s, already in the close distance of Pearse Station. Porte di Dublino, la serie di Filippo. I calendari innumerevoli. La volta di Pearse è sempre con me, saltare su e giù da quei binari fu la libertà agognata dei vent’anni maturi. Laddove arriverà anche il Timido sono chiacchiere notturne di stabilità, l’oro nero a sgorgare, Nassau Street, il confine della proprietà, la stanza privata oltre un ponte, Blarney Inn, un marchio nitido in un vortice senza senso. Lo squallore British mi uccide. Per me è l’esatto contrario.

Da Pearse Street partì anche un treno domenicale, destinazione non già Cobh ma Cork. I don’t feel so happy here today, it only rains when it pours. Città universitaria affascinante, sicuramente da scoprire tra le vie tortuose di un’architettura omogenea da isola(mento), anche se l’Effetto Cork è un neologismo che indica i vestiti inzuppati. Perché del resto tomorrow could be too late. Tomorrow is already too late. I never had a friend like you (cit.). This is the day, the day that I regret. Quando la Michelin guidava i nostri passi, le strade avevano una N davanti. Eircom. Un ombrello nato in Sudtirolo e morto in Irlanda. Trascinato verso la morte in agonia da un vento impossibile. E tra le cattedrali e le rovine, i prati verdi e gli altri cliché del paese non possono mancare Beamish e Murphy’s e i loro boccioni inconfondibili, ripari di animali nelle calamità naturali. Loud and clear I made my point clear, at least that time. C’è anche un pensionante fisso, durante la settimana, si chiama Eamon e ha una certa età, compare solo fugacemente a colazione e poi non si vede più. A cena non c’è mai. Does it have to be so cold in Ireland? Quando si chiamava ancora Westland Row.

Abbiamo solo due giorni. E una Ford Fiesta. Ci sono mille strade, quale si prenderà? Il volante a destra e i tir che il battito scende coi chilometri, Kildare e si inforca già un parcheggio, Portlaoise, colline spoglie e la visita guidata delle rovine più belle e imponenti, la Rock of Cashel. You can go your own way, of course. Un’ombra di sfuggita dal farmacista. Ti anticipiamo che abbiamo avuto molti problemi con il nonno. Quando sarà il tempo dell’eutanasia? Tipperary, si rende giusto omaggio a chi cantava ‘It’s a long way’, più un attraversamento che una visita, i treni colmi di bandiere giallo-viola, discussioni infinite e fantasticherie su hurling e football gaelico, il giudizio severo sui colori societari delle contee; forse un giorno faremo una squadra di calcetto e la chiameremo Pagliaccio Club. La N24 scorre lentissima, furgoncini bianchi e trattori, bucolicità immense tutt’attorno, tetti di paglia che qualcuno conosce meglio di noi, dalle isole Aran sino al Connemara, Limerick, è medievale il King John’s Castle, la casa delle vedove, due operai che trasportano un asse di legno, prospettive bianche basse e uniformità di mattone per un’alcolemia generosa che concede una vasca di fiori al tramonto. For me, love is all. E tra i tornanti quasi nordamericani che bypassano lo scalo di Shannon si sublima un’idea, la mia stanza dublinese vuota, le bandiere già tutte gialle e blu, Ennis, l’ingresso su due lati e il parcheggio at the back, una colonna che la piazza sembrava più larga, Luneburg il solito riferimento, la vita nei pub affollata di code per pinte, ingressi in discoteca e chiostri gotici. Shattered by your weakness, il sonno uccide i sogni del traghetto, nulla va e viene in così poco tempo, e nella nebbia di un agosto irlandese tipico le voci che si sentono sono solo quelle delle comitive di studenti dell’Europa del sud, la passeggiata di rito alle scogliere dei Cliff of Moher, qualcuno tornerà e sarà più fortunato, quel qualcuno non sarò io e un whiskey locale si scrive con la e, in Scozia non protesteranno. Quando andremo al Ring of Kerry, Danilo? You mystify me, e qualcuno perderà il treno a causa della cancellazione, cara Lonely Planet troppo in alto, i macellai dei mosaici mangiano maiale, Galway è strade commerciali senza un albero, Eyre Square il riposo di B&B tutti uguali a copiare Killarney. Una Cattedrale del 1965, che scimmiotta lo stile classico di pietra e cupole verdi, un lungo Corrib dalle molte suggestioni, le case colorate delle cartoline, i parcheggi, le sale di scommesse e i pub dove seguire in diretta le mosse di chi gioca a calcio con le mani. We have suffered too long, fee-fi-fo, ma non ci arrendiamo mai, e Clonmacnoise è una visita silente, dopo l’orario di chiusura, la staccionata di legno, che Olio Cuore non si è fatto solo ad Amburgo, le croci celtiche che si stagliano al tramonto di un tempo sospeso, l’ultima tappa, la città che ha cambiato nome sulle carte (Athlone). E torneremo ognuno ai nostri amori, le panchine nel parco di promesse troppo veloci, le frasi di cui ci pentiremo, il silenzio di una terza birra sulla strada di casa. I have decided to leave you forever. And the daffodils look lovely today. Hanno pochissima roba, carissima.

La prima stazione della tratta sud, quella del mio pendolarismo, ora è Grand Canal Dock, terra di nessuno passata, nome che non c’era nella mia lunga lista, il punto dove più spesso si inceppavano i binari. Back in the 90’s, la prima stazione era Lansdowne Road, nome mitico di spalti di legno adiacenti ai binari, per Celentano l’Aviva, un village piuttosto anonimo di case in mattoni e strade larghe. ‘They lost!’ Sandymount chiama già, quartiere marittimo di biciclette e giardini rigogliosi, curve e asterischi, ballerine rosse di una sera di pioggia, il tetto squadrato, il comignolo, la finestra doppia. Vicoli ciechi che ci si perde, isolati interi senza un esercizio commerciale, la prospettiva ancora timida di case antiche, il rosa e l’azzurro, il circolo della K, infilate di alberi che proteggono la spiaggia. In fondo al quartiere si può risalire sulla DART, alla fermata di Sydney Parade, eleganza di nome e di fatto, un semicerchio di residenziali a balcone e villette, agenzie immobiliari, colonne ioniche e vasi di piante alle finestre. Questa è anche l’estate della mia emancipazione sessuale. Tardiva. Le cartoline nascondono sempre qualcosa. Tutti i bambini sognano di volare. La seconda sera dimenticai la maglietta. La terza i boxer. The bearable lightness of being. Ogni sera c’è uno spettacolo, Dublino mi guarda. Poltrone di conversazioni. I vestiti da lavare. La tavolata in giardino con i fusti di Kilkenny. Per tanti anni la Kilkenny Strong è stata la mia birra preferita. Ora c’è solo un pub a Milano dove posso berla. La città che le dà i natali la visitai in un pomeriggio senza fretta, le attrazioni persino superiori alla media, i giardini che ci consigliavano, la foto al rosa di Matt the Miners, il ritornello che si stampa in testa come in ogni marcia, le Rothmans blu, il lungo fiume che qualcuno ci vuole già ‘a casa’, ma la nostra casa è sempre stata qui. Will you remember my face? Booterstown è immersa nel nulla di una striscia di sabbia, Kill of the Grange, Grange of the Hill, everybody wears the same clothes, true, una bellissima casa bianca con le finestre rosse l’indicazione per il centro del quartiere, cipressi, guardiole e la tranquillità dei college privati, la prima divisione UCD che va e viene, le russe che scapparono subito, la vastità degli spazi da percorrere dinnanzi al vuoto dei nostri pensieri. Where are you now? I need your affection all the way. Abbiamo appuntamento al solito pub. La vedo, è là. Qui c’è anche la fermata dove salgo sul bus per le mie mattine trasognate, un nome che rimarrà nella memoria per sempre. Si chiude la porta del bagno. Sarà Eveline. Dalla finestra scorgo gli alberi che la luna piena accarezza. Blackrock ha già dignità di cittadina, di quartiere distaccato, we’ve got it all è lo slogan (infatti ufficialmente Dublino finisce poco dopo), quella balnearità avara da muretti di pietre scomode, di case col tetto a punta e verande di un mare mosso solcato da navi, gli shorts nei negozi di sport, i borselli negli uffici postali, la pinta inevitabile al sobborgo successivo di Seapoint, poche strade tranquille di bandiere blu, torri a martello e scale gialle e corrimani verdi per cambiare direzione. Beautiful girl, would you be my inspiration?

Un uomo è seduto nella hall di un hotel economico sulla Lower Leeson. It’s not too cold. La cameriera ucraina sta pulendo i vetri. L’uomo riguarda le foto fatte, non è soddisfatto. La moglie è a un corso di inglese full immersion, ci tornerà pure. Sotto l’hotel c’è un bar che serve latte caldo in brocche a forma di mucca. L’uomo lancia la moneta e sceglie così l’unico percorso della memoria a sua disposizione. Lucia ha già preso l’aereo. Varca fotogrammi di sé stesso. Raccoglie per strada qualche ricordo rimosso. Here we are finally! Macina pensieri frettolosi, la sequenza delle stazioni non gli è più così familiare, e comincia a intuire che troppe cose siano cambiate. Salthill & Monkstown, così si chiamava la sua stazione. Scende, e si incammina, la prima striscia di terraces nota in un secondo. Ricorda d’improvviso l’unica escursione fuori dalla linea del treno, Foxrock a tarda notte, le pensiline dei bus, l’ultima (forse unica) pinta ai confini di Leopardstown, la ricchezza dei campi da golf che lui non frequenterà mai. Le fioriere delle due chiese lo confortano. Comincia la salita, Carrickbrennan Road gli sembra lunga, la poesia del bosco in città prevaricata da un cielo plumbeo di novembre. La rotonda delle rovine, ecco qualcosa che aveva dimenticato. I ragazzini che si allenano sulla Monkstown Avenue hanno le stesse mute di quelli di quindici anni prima. Il muretto della fermata del bus, il deli shop di quartiere, le cassette della posta delle villette a vicoli ciechi recintati, la rotonda dove si allenava alla ghiaia, il culmine della tensione emotiva alla pompa della Texaco, e poi? Have you ever had an empty heart? E poi…non ricorda quale fosse la sua casa. Perde la testa senza fare festa. Le passa in rassegna tutte, ma non c’è verso di veder spuntare indizi chiari, di capire. Sa che c’era un albero davanti a casa ma ce l’hanno quasi tutte. Sa che il vialetto delle auto era sulla sinistra ma ce l’hanno tutte là. Non ricorda con esattezza se l’ingresso fosse sul lato sinistro ma ce l’hanno, in ogni caso, tutte da quel lato. Getta la spugna, addio vecchia casa, passando con rabbia al feticcio successivo, il fango percorso obbligato, ma già da lontano qualcosa non quadra. Kill non è più Kill. They killed the Old Kill. Le vecchie case che facevano tanto periferia, demolite, al loro posto una scuola e, dall’altro lato, l’insegna ancora inequivocabile delle pinte più a buon mercato è quella di una panetteria di moda. They won’t tear us apart! No way! C’è ancora la Fire Brigade Station! Eccola, fortunatamente immutata. Ora l’uomo deve solo cercare il suo rifugio imprevisto di una notte, un pub apparso dalle profondità del nulla tra i saliscendi delle colline dublinesi. Sarà di qua? Sarà di là? Tutte le strade sembrano papabili. Da qualche parte aveva svoltato, ma dove? Di qua no, troppo stretta. Di là no, quel che resta del ricordo direbbe una svolta sulla sinistra. Invece vuoi vedere che era diritto? La suggestione pervade l’uomo. Mentre marcia, fa notte improvvisamente e, nel buio, lontano, riconosce un’immagine, un cartellone pubblicitario della Guinness. Corre, non ha fiato, le lacrime gli solcano gli occhi. Entra da una porta aperta di speranza e il varco spazio-temporale improvvisamente svanisce. Il breve corridoio perde l’illuminazione, la musica si ferma. Il bancone non è più dalla stessa parte. Il locale è completamente rifatto. Food & Drink, la malattia del gastropub ha colpito anche le periferie vaccinate. So long McCormack & Sons, penserà, davanti a una pinta amara, a uno scatto ad un garage rosso nella discesa delle illusioni, non cercheremo mai più il passato dove siamo stati felici. Tra poco è il 17 marzo, quella sì festa nazionale, e vedremo di santificare anche quest’anno questa gloriosa isola.

Dunleary, o meglio Dun Laoghaire, in una lingua più consona al contesto, è già una municipalità a parte da Dublin, suburban skies, il sentore da città del porto d’ingresso di un Regno che da qui ha fatto le valigie, i pub altezzosi dai buttafuori che rifiutano persino clienti con sneakers maggioritarie. Se volete scendere da una stazione e risalire da quella dopo, che poi era il mio gioco preferito, allora qui Sandycove & Glasthule fa proprio al caso vostro, le attrazioni citate nientemeno che dalla guida verde del Touring, la torre di James Joyce in un porticciolo bucolico che sembra trasportato qui direttamente dalla penisola di Dingle. La stazione successiva della linea è quella dove scelgo di depositare idealmente il mio cuore. Glenageary, questo era il quartiere che avrebbe dovuto ospitarmi in origine, la visita alla famiglia affidataria in un tramonto con le cuffie, la serenità del nulla nelle strade dalla vegetazione folta e dai muri di cinta alti, le panchine della stazione luogo di raccolta per emozioni portate dai vagoni illuminati. It’s never quite as it seems. Dalkey è un posto semplicemente splendido. Ci sono i pub (opportunamente vicini alla stazione, per non perdere l’ultima corsa della DART), c’è un piccolo porticciolo di case color pastello, ci sono le strade residenziali sul promontorio con vista sulle scogliere e feste organizzate dove converge tutta la popolazione sotto i 30 anni, il cielo stellato che aiuta a sedimentare i sogni. E poi c’è Killiney, la costiera amalfitana di Dublino, tra tornanti stretti di parchi a strapiombo e una lunga distesa sabbiosa, l’inglese squillante di Daniel a interrompere il silenzio di una notte di esplorazione condivisa. Do you have to let it linger? Shankill l’abbiamo dovuta saltare, anche perché di Kill giustamente ce n’è una sola (almeno qua). Adesso il capolinea sud è più lontano, ma allora l’ultima stazione era Bray (Bré), famosa per i Wanderers, altra città suburbana con una propria identità: un molo affollato dalla lunga passeggiata aiuolata e piena di attrazioni, notti da pirati tra boccioni di whiskey e di birra, i cartelli mossi dal vento di vacancy e no vacancy, i bambini in costume da bagno per le stradine di piastrelle delle hamburgherie a poco prezzo. And I’ll miss you when you’re gone. Più giù ancora c’è solo Wicklow, tappa decantata dagli zaini, dove si può passare un pomeriggio di malinconia inseguendo i fantasmi dei giorni precedenti. E Waterford, e Wexford, che farò, giustappunto combinandole, in quest’ultimo sabato. ‘Look at him!’ Sento un rumore. È la porta della cucina che si apre. Anche dalla mia camera al piano di sopra posso intuire quello che Georgina sta dicendo: ‘breakfast is ready!’ Pause. And then: ‘here’s Lorenzo’s tea and here is Eamon’s…coffee’


LORENZO ZUCCHI


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